14 marzo 2015

Due uomini di guerra, Roma e Berlino

Indovinello: cos'hanno in comune Giovanni dalle Bande Nere e Luigi Ferdinando di Prussia? animo, ardore, passione per le donne, esempio. Nei fatti storici l’analogia è peccato mortale. Tuttavia ...

Se non fosse morto per i postumi della ferita provocata dal colpo di falconetto nei pressi di Governolo il 25 novembre 1526, come sarebbe morto Giovanni di Giovanni de’ Medici, a tutti noto come Giovanni dalle Bande Nere (1498-1526)? Avrebbe difeso Roma ed evitato il sacco del maggio 1527?

Secondo i più sarebbe stato l’unico in grado di difenderla, probabilmente invano. Lo penso anche io, con la sua foga (in)controllata e risoluta sarebbe però morto senz’altro, senza risparmiare sé e le sue bande, come Luigi Ferdinando di Prussia (1772-1806) contro Napoleone tre secoli dopo, alla battaglia di Saalfed del 10 ottobre 1806. Non per cercare la bella morte ma per guidare, condurre, essere d’esempio.

La loro morte mi sembra avere forti analogie, così come la loro vita. Tuttavia al primo toccò in sorte Aretino come ammiratore, al secondo Beethoven.

Nei fatti storici l’analogia è peccato mortale.

Francesco Guicciardini, Il sacco di Roma:

Solo la Banda Nera, così nominata da colore dell’insegne sue, per la virtù, e per l’animo del Signor Giovanni, essendo da lui guidata, e disciplinata, mostro continuamente vedere volentieri il nemico in viso, perché spesso scorreva animosamente infino alle mura di Milano, scaramucciando con li Cesarei e sempre (benché più volte si urtasse con li Spagnuoli, e Tedeschi, di pari, o maggior numero) restò superiore per modo, che solamente ella dava terrore a quelli di dentro, de’ quali non pochi Spagnuoli (come molti affermano) uscirono fuori con archibugi, deliberati o di morire, o di ammazzare il Signor Giovanni, il quale in quelli assalti non tanto fece singolari prove di eccellente Capitano, quanto ancora di ferocissimo, e gagliardissimo soldato: qualità che rarissime volte insieme un solo concorrono, perché, dove suol’essere maggiore prudenza, si scuopre il più delle volte maggiore il timore per la quantità de’ pericoli, ch’ella antivede; e con l’animosità (parendo a molti causata quasi sempre da poco conoscimento) si vede spesso congiunta la temerità. 

condotto in Mantova, in pochi giorni da quella crudelissima ferita ne successe al tanto acerba e dannosissima morte sua; per la quale (sia detto con riverenza degli altri Capitani Italiani) rimase questa povera Italia a discrezione degli Oltramontani; e la Patria nostra fu allora liberata da un ragionevole timore avuto qualche anno della sua ferocia. E benché egli fosse superbo, e molto dedito alle cose veneree; nondimeno senza comparazione era maggiore la liberalità, l’animosità, la tolleranza con la perizia del mestiero dell’armi

David G. Chandler, Rizzoli Editore, 1968, p. 579:

Verso le 11 Luigi si accorse della minaccia [di essere aggirato sul fianco, n.d.r.] si preoccupò di rafforzare la sua ala destra, mentre spingeva avanti il centro e occupava il borgo di Beulitz. Per tutto il resto della mattinata una lotta spietata infuriò intorno a quest’area e intorno a Croesten, ma poco dopo le 13 i francesi cominciarono ad avere il sopravvento. In un disperato tentativo di arginare il crescente disordine delle sue truppe, il principe Luigi guidò personalmente cinque squadroni al centro, ma fu ucciso in un corpo a corpo dal quartiermastro Guinded del 10 reggimento ussari. In questo modo finì il miglior soldato, in potenza, di tutto l’esercito prussiano. 

Piero Buscaroli, Rizzoli Editore, 2004, p. 597:

La mattina uscì, col seguito, prestissimo. Ogni suo passo fu poi cento volte ricalcato e commentato. Lo stato d’animo con cui si precipitò nella battaglia appena cominciata a Saafeld, fu definito «prebyroniano». Comandante, avrebbe dovuto evitare d’impegnarsi di persona contro l’avanguardia della Quinta Armata del maresciallo Lannes. «Più soldato che generale», dissero. Come se avesse cercato una misera morte gregaria, da servire di accusa e protesta contro l’isterico ultimatum lanciato da Federico Guglielmo II senza neppur coprire la frontiera. 

Trasformarono la sua fine in un gesto teatrale, da repertorio romantico, la retorica decadente di Nicolas Lenau, «la vita è necessità di sconfitta», l’impareggiabile nobiltà della sfortuna. 

Ma io conosco la vera faccia di questo stato d’animo, che ritorna identico nei secoli. Sorge negli eserciti privi di salde tradizioni, in nazioni malformate, pigre, immature. Sorge in solitari ispirati, che la rovina d’intorno istiga a dare un esempio ai tiepidi, agl’incapaci, ai vili. L’assalto, degno di un eroe omerico, di Teseo Tesei alle fortificazioni di Malta.  I due fratelli principi Ruspoli che sparano, in piedi, sul campo di El-Alamein, Louis Ferdinand che si fa uccidere da un qualsiasi ussaro francese a Saafeld, tutti sono progenie di Patroclo, che s’immola perché Achille esca dalla tenda. 

«Più soldato che generale», il Principe credette che il suo sacrificio sarebbe riuscito a travolgere l’ennesima egoista neutralità (dell’Austria, stavolta) e trascinare tutti i tedeschi nella medesima guerra di liberazione, come poi fu detta, dopo che fu vinta. 

e Napoleone scriveva al suo maresciallo «La morte del Principe di Prussia sembra una punizione del cielo, perché è stato lui il vero artefice della guerra». 

Piero Buscaroli, Rizzoli Editore, 2004, p. 294:

Fino a che non morì in battaglia dieci anni dopo, Louis Ferdinand divenne il più alto in ruolo e grado dei suoi amici dinastici e militari. Fu il modello di eroe che poté conoscere e contemplare dal vivo. 

Piero Buscaroli, Rizzoli Editore, 2004, p. 168:

E poi, c’era un legame attitudinale continuo tra la musica e l’arte della guerra nei capitani aristocratici, dal Seicento in poi. Fuori dei campi di battaglia, i signori della guerra si dimostravano con gran frequenza ottimi musicisti. Il legame era fisiologico e fu a lungo osservato. Non so se mai studiato. «Non suona come un principe, ma come un vero e buon pianista», disse Beethoven tutto ammirato appena ebbe udito a Berlino Louis Ferdinand di Prussia, il nipote di Federico il Grande, due anni meno di lui, gran tombeur de femmes, oltre che degli uomini che gli morivano davanti in battaglia: uno che quando udì l’eroica in campagna, ospite del suo amico Lobkowitz, se la fede suonare un’altra volta, e poi un’altra ancora. Tre Eroiche di fila, cose che a un musicista di professione non verrebbero mai in mente. Cose da fanatici. Da esaltati. Da dilettanti.

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